sabato 1 febbraio 2020

Le "Corone" del beato Gioacchino da Siena [Schede per l'iconografia del Santorale OSM]

Apparizione della vergine e del bambino
al beato Gioacchino da Siena.
Dettaglio di una porta in legno nella tribuna
della Basilica della SS. Annunziata di Firenze
(secolo XVII)

All'interno dell'Ordine dei Servi di Maria il beato Gioacchino da Siena (1258ca – 1305) possiede una lunga e sviluppata linea iconografica sia dal punto di vista episodico sia da quello individuale [1].
La raffigurazione episodica trae le sue mosse dalla lastra funeraria attualmente conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena ma in precedenza parte del sepolcro dello stesso beato. Le tre scene raffigurate, oltre a costituire una tra le più antiche raffigurazioni di frati dell’Ordine dei Servi, hanno costituito la base d’ispirazione per ulteriori opere.
La raffigurazione individuale seguì linee interpretative diverse. Talvolta il beato viene raffigurato con un ramo di rose e accoppiato con il beato Francesco. In altri contesti emerge l’uso di una fiamma sul capo. In altri ancora il beato viene raffigurato prostrato di fronte all’apparizione della Madre di Dio e del Figlio. Quest’ultima raffigurazione conoscerà un’evoluzione attraverso un piccolo dettaglio immesso nel tempo: vengono porte al due corone.
Cosa rappresentino queste due corone e quali sono le circostanze da cui derivano si possono trarre facilmente da una lettura della trecentesca Legenda beati Joachimi [2]. La prima corona si ritrova al punto 6 di cui riportiamo il passo:

6. Dal beato Filippo fu poi inviato di famiglia nel convento di Arezzo. Era lì già da un anno, quando gli capitò di trovarsi in cammino per il territorio di Arezzo insieme a fra Acquisto d’Arezzo, uomo di grande fama. Era sopravvenuta ormai la notte e la pioggia cadeva abbondante. Trovarono allora riparo in un ospizio, dove un infermo giaceva oppresso da una grave e lunga malattia. Il beato Gioacchino lo sentì lamentarsi per il dolore e gli disse: «Abbi pazienza, fratello, perché questa tua malattia sarà per te causa di salvezza». E questi: «O buon frate, è facile esaltare la malattia, ma come è diverso averla!». E Gioacchino gli rispose: «Allora io prego Dio onnipotente perché ti liberi da questa malattia e ad essa sottoponga me, suo servo: non possa io liberarmene se non con la morte, e così portare sempre nel mio corpo la pazienza di Cristo». L’infermo fece un balzo dal letto: era perfettamente guarito. Gioacchino invece venne subito colpito, sul posto, da epilessia, da cui fu afflitto oltre misura per tutto il tempo della sua vita. Fu per lui come una corona di martirio.

La seconda corona invece si compare al paragrafo 17:

17. Piacque poi all’Altissimo onorarlo di un’altra corona. Lo colpì infatti un’altra malattia: in alcune punti del corpo la carne marciva fino alle ossa e ne uscivano vermi di continuo. Per quanto gli fu possibile, tentò di nasconderla. Grande fu il dolore dei frati quando se ne accorsero. Essi lo supplicavano di pregare per sé, perché quei mali lo lasciassero. Ed egli rispose: «Fratelli carissimi, ciò non mi conviene, perché questa infermità purifica i miei peccati e fortifica l’anima, secondo la parola dell’Apostolo: Quando sono debole, è allora che sono più forte».

Notiamo dunque che le due corone sono intese come un martirio sopportato dal beato nel proprio corpo. Più specificamente si riferiscono una all’epilessia, presa su di sé dal beato per guarire un malato che non era stato in grado di consolare con le sue parole, l’altra ad una forma di lebbra, assunta dal beato come forma di purificazione dal peccato e fortificazione dell’animo.
Occorre notare che questi due episodi, pur così centrali nella vita del beato e fonte di riflessione sulla sua spiritualità, risultano al contempo difficili da rendere visivamente questi episodi. Per questo l’espediente grafico delle due corone aiuta in una qualche misura a ricordare gli episodi.
Non mancano tuttavia tentativi di rendere graficamente questi miracoli. Negli Officia Propria dell’Ordine dei Servi di Maria del 1609 e del 1629 compare in occasione della memoria del beato una medesima incisione così composta: al centro una raffigurazione del beato, incorniciata da dieci quadretti raffiguranti una serie di episodi circa la vita e i miracoli. Detti quadretti sono numerati progressivamente, partendo da quello in alto al centro seguendo un movimento antiorario. Le scene raffigurate fanno riferimento alle letture proprie della vita del beato che si trovano all’interno degli Officia Propria.
Incisione degli Officia Propria del 1609
dedicata al beato Gioacchino
Iniziamo considerando la raffigurazione del beato Gioacchino. Al centro, notiamo il beato in ginocchio, la mano destra sul petto mentre la sinistra è rivolta verso il basso. Lo sguardo del beato, sopra il cui capo arde una fiamma, è sollevato verso l'alto dove, spostata verso destra, compare tra le nubi la Vergine con il Bambino. Le scene raffigurate nei quadretti di cornice sono: 1. da fanciullo Gioacchino distribuisce i propri beni ai poveri; 2. la chiamata della Vergine durante il sonno; 3. la guarigione dell'epilettico prendendo su di sè la malattia; 4. il prodigio del cero sospeso a mezz'aria; 5. il beato, rimasto chiuso fuori convento d'inverno, passa tutta la notte in preghiera; 6. il prodigio della mensa ribaltata senza che niente vada perduto; 7. l'apparizione della fiamma sul capo durante la preghiera; 8. la malattia alla gamba; 9. la morte il venerdì santo; 10. il giovane annegato risuscitato per l'intercessione del beato; 11. l'uomo ingiustamente incarcerato, liberato dietro invocazione del beato. Le ultime due scene compaiono nello stesso quadretto. Sotto, l'incisione la scritta Beati Ioachimi Pellacani Senensis Ord. Servor. B. M. Virg. Miracula et Actiones quae in eius Lectionibus continentur e in parte la firma dell'incisore, M.G.[3].

Poniamo ora una maggiore attenzione ai riquadri 3 e 8. Cominciamo con il riquadro 3 che stilizza l’episodio del punto 6 della Legenda beati Joachimi.
Il beato al centro, con aureola in capo, è in atto di rivolgersi ad un uomo, in atto di contorcersi a terra, posto sulla sinistra del riquadro. Il braccio sinistro del beato appare steso verso il malato mentre il destro va ad indicare il cielo.
Occorre notare che in questo caso senza un ricorso alle letture agiografiche si può ragionevolmente pensare che il beato preghi affinchè il malato venga guarito, ma non che assuma su sé stesso la malattia.
Il riquadro 8 riprende invece l’episodio narrato al punto 17 della Legenda beati Joachimi. Il beato in questo caso è raffigurato steso sul letto, le mani giunte in preghiere. Le gambe appaiono scoperte e si notano delle macchie nere, come ad indicare la malattia citata. In alto a destra del riquadro viene raffigurato una sorta di fascio di luce.
Nuovamente si ripresenta la difficoltà grafica di rendere l’episodio in quanto si sarebbe portati a pensare all’intervento divino per una guarigione dalla malattia alle gambe. Di qui la necessità di riferirsi alla lettura agiografica per una corretta comprensione dell'incisione.


Incisione tratta dal Marianischer Lust-und
Blumen Garten
(1697) dedicata
al beato Gioacchino da Siena
Passiamo ora ad un Gioacchino “austriaco”. Questa immagine appartiene ad una serie d’incisioni austriache relative al santorale dei Servi, eseguite da J.Jacob Hermundt e comparse in un’opera di Fr. Raffaele Maria Weinhardt (1661-1715) dal nome Marianischer Lust-und Blumen Garten (1697)[4]. L’incisione riguardante il beato Gioacchino è numerata come 11. Nella scritta posta sotto l’incisione leggiamo: Beatus Pater Ioachimus Senensis e famiglia Piccolominea, Ordinis Servorum beatae Mariae Virginis. Dum morbo epileptico laborantem frusta ad patientiam hortatur, eundem morbum in se transferri a Deo petijt: quod et impetravit. Duplicem coronam a beatissima Virgine adeptus, 16 aprilis 1305.
Analizziamo adesso da vicino l’incisione. Il beato Gioacchino è raffigurato nell’atto di guardare in alto. Sul volto un’espressione di sorpresa, stupore e gioia per ciò che sta osservando. Sopra il capo è presente una fiammella. In alto a destra appare Maria Vergine, radiosamente vestita e circondata d’angeli. Notiamo davanti alla Vergine un angelo che reca tra le mani due corone e le porge a Gioacchino.
In basso a destra dell’incisione si nota un altro episodio. Due frati fermi davanti ad un uomo a terra. Il frate sulla sinistra è mostrato nel gesto di muovere un braccio nei confronti dell’uomo a terra. Nuovamente si potrebbe indicare la possibilità di equivocare l’episodio ad una semplice guarigione se non si ricorresse alla lettura della scritta sottostante.


Incisione sul Beato Gioacchino presente
all'Archivio Generale dei Servi di Maria
Le due corone rappresentano quindi un utile espediente grafico per introdurre le due malattie sopportate dal beato, costituendone dunque un segno distintivo. Un deciso miglioramento di rappresentazione grafica è dato da quest’ultima incisione, forse da collocare al secolo XVIII [5]. Il beato viene raffigurato in abito dei Servi, in ginocchio davanti ad un malato che pare contorcersi ai suoi piedi. La scritta in basso recita: Beato Gioacchino Piccolomini dei Servi di Maria Protettore sopra il Malcaduco. La scena diventa più leggibile secondo il dettato della Legenda beati Joachimi se osserviamo la raffigurazione delle mani e lo sguardo che il beato ha verso un crocifisso posto sulla sinistra dell’incisione. La mano sinistra del beato è in atto di presentare il malato oppresso dall’epilessia mentre la destra indica il beato stesso, come a voler significare la volontà di assumere su sé stesso la malattia. Emerge pertanto, anche in relazione al particolare titolo di protettore del beato, una migliore comprensione dell’episodio. 

fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com




[1] In merito si veda E. Casalini, Culto e Iconografia Servitana - IV. I BB. Giovacchino e FrancescoLe tele di «memoria ex-voto» in E. Casalini – L. Crociani – C. Fabbri – P. Ircani-Menichini – G. Vailati Schoemburg-Waldenburg, Da “una casupola” nella Firenze del sec. XIII. Celebrazioni giubilari dell’Ordine dei Servi di Maria. Cronaca, Liturgia, Arte (Biblioteca della Provincia Toscana dell’Ordine dei Servi di Maria, 4), Firenze, SS. Annunziata (1990), pp. 134-140.
[2] La Vita ac Legenda Ioachimi Senensis Ordinis fratrum servorum Mariae Virginis è di autore ignoto. Per la sua redazione vengono offerti due riferimenti cronologici al 1325 o al periodo 1330-1335. Edizioni del testo originale sono apparse in: P. M. Soulier in Analecta Bollandiana XII (1894), pp. 383-397, riprendendolo da una copia redatta da Callisto Palombella nel sec. XVIII; P. M. Soulier in Monumenta OSM V, pp. 7-18, sul manoscritto del Vaticano.
Per una traduzione in lingua italiana: F. M. Fioretto e E. M. Bedont per Studi Storici OSM 8 (1957-58), pp. 164-170 poi ripresa in Due beati senesi: legende trecentesche dei beati Gioacchino e Francesco (Panis Servorum 7), Vicenza 1965, pp. 9-20; Piergiorgio M. Di Domenico per Fonti storico-spirituali OSM I, pp. 312-332.
[3] Notiamo che la famiglia d’appartenenza del beato è indicata come Pellacani, famiglia senese che pare estinta attorno al 1543. Circa questo aspetto occorre notare che il primo a citare l’appartenenza del beato a questa famiglia è fra Paolo Attavanti nel suo Dialogus de Origine ordinis… (1465 ca.), notizia ripresa poi per tutto il Cinquecento. Tuttavia già negli anni dell’edizione degli Officia Propria, circolava la notizia che il beato appartenesse alla famiglia Piccolomini, tanto che nelle stampe di fine seicento viene indicato come tale. In seguito alla revisione del Proprio dell’Ufficio dell’Ordine dei Servi attorno agli anni ‘60, il beato viene indicato solo come “da Siena”.
[4] Si veda in proposito P. M. Branchesi - D. M. Montagna.Immagini del Santorale dei Servi tra sei e settecento. La grafica austriaca, Studi Storici OSM 34 (1984), pp. 207-338. L’incisione del beato Gioacchino è a p. 235.
[5] Questa incisione è presente presso l’Archivio Generale dell’Ordine dei Servi di Maria, segnata come AR-14-6.

martedì 9 aprile 2019

La strada verso Ariccia (214° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria, 7-27 ottobre 2019)


L'Ordine dei Servi di Maria celebra quest'anno il suo 214° Capitolo Generale nei giorni dal 7 al 27 ottobre a Ariccia.
Il Capitolo generale rappresenta, insieme alla figura del Priore generale e dei conventi delle origini di Monte Senario e della Santissima Annunziata, una delle istituzioni di riferimento più antiche e citate. Vale dunque la pena di indicare un breve excursus storico oltre ad una breve riflessione sul nostro tempo.

Le basi di un istituzione
La tradizione storiografica dei Servi indica una serie di "Capitoli Generali" alle origini[1]. Appare però difficile attestare queste riunioni in quanto spesso possono trattarsi più di ritrovi di frati che vere e proprie assemblee plenarie.
Secondo una ricostruzione offerta da Davide Montagna, si può indicare il primo capitolo generale ufficiale con il capitolo del 1256 a Firenze, momento in cui avviene il passaggio di consegne da fra Bonfiglio, primo priore generale, e fra Bonagiunta, suo successore[2].
Per certo l'istituto del Capitolo Generale è consentito a partire dalla bolla Inducunt Nos di papa Urbano IV del 25 luglio 1263. Bolla interessante e degna di maggiore considerazione in quanto indica la possibilità per l'Ordine di svolgere capitolo generale e di eleggervi in esso il proprio priore generale[3]. Non a caso il testo della Bolla Dum Levamus di papa Benedetto XI di approvazione definitiva dell'Ordine, concessa l’11 febbraio 1304, ricorda appunto questo testo insieme ad altri due[4]. La stessa Legenda de Origine nei punti 58 e 59 pone particolare enfasi su quest’avvenimento, riassumendo e sottolineando una serie di caratteristiche dell’Ordine al momento.
La celebrazione del Capitolo generale risulta inizialmente annuale. Le Constitutiones Antiquae al capitolo XXV danno indicazioni importanti per la celebrazione del Capitolo Generale[5]:
- data di celebrazione;
- partecipanti;
- elezioni e decisioni da prendere.
Lo svolgimento dei capitoli diviene luogo privilegiato d’incontro per i frati oltre che di produzione di nuovi Decreti capitolari che strutturano progressivamente l’Ordine dei Servi. In particolare, sarà il capitolo di Parma del 1353 ad introdurre particolari disposizioni per l’Ordine, rappresentando uno dei tanti momenti di transizione dall’epoca delle origini a quella dello sviluppo dell’Ordine.
La data inizialmente rimane a lungo fissa al 1° maggio, con alcune eccezioni. Nel passare del tempo di verificherà una variazione notevole dei tempi della celebrazione del capitolo.

Aggiornamenti e momenti salienti
La prima modifica sostanziale alla pratica del Capitolo Generale appare nel 1346 con la Bolla Regimini Universalis Ecclesiae di papa Clemente VI, data il 23 marzo del detto anno[6]. Con questa bolla il periodo di celebrazione del capitolo generale passa da annuale a triennale. Parimenti si danno disposizioni per il priore generale tenuto a rimettere nel corso del capitolo generale il proprio mandato, salvo poi essere riconfermato nell’incarico.
Nella seconda parte del Trecento, la celebrazione del Capitolo Generale patirà l'intervento dei pontefici circa l'elezione dei priori generali. Tale pratica caratterizza l’Ordine per un trentennio dal 1344 al 1374, e non mancherà di rimanifestarsi in altri momenti.
Nel quattrocento, la nascita della Congregazione dell'Osservanza inserisce all'interno del Capitolo Generale la presenza del vicario dell'Osservanza. Parimenti ai capitoli della Congregazione avrebbe dovuto partecipare il priore generale. Pratica quest'ultima non sempre gradita ai frati osservanti. La questione raggiungerà il culmine con il capitolo della Congregazione del 11-12 aprile 1486 da celebrarsi in Brescia. Momento particolare in cui l’opposizione dei frati Osservanti alla presenza in capitolo del priore generale Antonio Alabanti porterà ad una clamorosa chiusura delle porte della città di Brescia davanti a quest’ultimo[7]. La situazione verrà risolta nel tempo con una delicata mediazione, ma è sintomo del manifestarsi di tensioni nel periodo indicato.
Il finire del Quattrocento è anche il momento dei capitoli generali di maggiore sfarzo e magnificenza. A Vetralla dal 21 al 29 maggio 1485, si contano quattrocento partecipanti, 129 vocali dell’Ordine, 90 dell’Osservanza[8]. A Bologna dal 25 al 31 maggio 1488 si giunge a partecipazioni larghissimi, tra i novecento e i mille partecipanti[9].
I capitoli generali che si svolgono nel Cinquecento si caratterizzano a più riprese per le decisioni il rinnovo delle costituzioni.  Dal capitolo di Budrio del 1546 fino a quello di Cesena del 1570 almeno quattro testi costituzionali passano attraverso l’esame dei frati riuniti in capitolo.
Di questo periodo va ricordato il capitolo di Cesena del 1570, svoltosi nei giorni dal 13 al 16 maggio, dove si ricompone, attraverso un intervento deciso della Santa Sede, l'unità fra Ordine e Congregazione dell'Osservanza[10]. Se tuttavia le modalità appaiono forti, la comunicazione del decreto di Pio V del 5 maggio avvenne al termine del capitolo tra la sorpresa dei frati osservanti, occorre notare che l'intervento di papa Pio V si pone in linea con un preciso intento di riforma e ristrutturazione degli ordini religiosi.
A partire dal Seicento, la celebrazione del capitolo generale subisce una nuova modificazione passando da triennale a sessennale, insieme alla durata del mandato del priore generale. Il Seicento è anche il secolo in cui sono maggiori le nomine pontificie di priori generali. Si noterà così che nelle liste dei capitoli generali diversi appaiono omessi e sostituiti con "Diete" generali. Se può stupire la sensibilità odierna[11], tale situazione appare però un riflesso della cultura verticista del tempo.
Con la rivoluzione francese e l'impero napoleonico i capitoli subiscono una battuta d'arresto in quanto difficili da celebrare. Mentre gli eventi della Rivoluzione francese infuriano si riuscì a celebrare ancora il capitolo 1792, ma già quello del 1798 viene omesso. Il capitolo del 1804 a Firenze risulta l’ultimo prima di una lunga pausa fino al 1823. La celebrazione riprende quindi regolarmente salvo ricevere nuove interruzioni durante gli eventi risorgimentali, in particolare nel periodo 1865-1883. Occorre notare come fino a questo momento, i capitoli vengono celebrati nella penisola italiana e solo la presenza di vari stati in essa indica una certa varietà. I due conflitti mondiali del XX secolo causano anche un interruzione del capitolo generale.

In tempi più recenti
Nel 1965, il Capitolo generale di Firenze offre un sostanziale punto di inizio all'Ordine dei Servi nella sua strutturazione attuale. In esso, svoltosi tra il 5 e il 23 giugno 1965, poco prima dunque della fine del Concilio Vaticano II viene decisa il rinnovo del testo delle Costituzioni. Inizia da qui un percorso che vedrà in un ventennio circa la celebrazione di Capitoli "straordinari" per la discussione e la redazione di nuovi testi. Già nel 1968 il Capitolo Generale esce per la prima volta dall'Italia per essere celebrato in Spagna a Majadahonda presso Madrid, dal 15 ottobre al 12 dicembre, dove si approverà un primo testo sperimentale delle nuove costituzioni. Seguiranno poi i capitoli del 1971 a Opatija, nell’allora Jugoslavia e oggi Croazia, del 1974 a Roma,  del 1977 a Barcellona e del 1983 a Roma in un continuo di approfondimenti.
Il testo delle Costituzioni del 1987 fissano anche l'impianto del Capitolo Generale, dove si prevede ormai l'elezione del priore Generale, dei quattro consiglieri, del segretario e del procuratore generale.
Da notare come dal 1983 a oggi, escono in corrispondenza del capitolo generale tre documenti mariani a opera del Marianum: Ecco tua Madre (1983); Servi del Magnificat (1995); Avvenga per me secondo la tua Parola (2013).
La documentazione del Capitolo del 1989 appare interessante nell'ambito di una ristrutturazione dell'Ordine: premessa interessante per un rinnovamento delle strutture che però viene superata, al netto delle decisioni successive, sia nelle direttrici di diffusione dell’Ordine dei Servi che dall’incalzare del movimento di globalizzazione. Di grande importanza è il 1995, quando il Capitolo Generale varcare l'oceano per essere celebrato a Città del Messico, segnando con l'erezione della provincia Messicana un interessante cambio di direzione dell'Ordine. Diminuendo la presenza italiana, per età e vocazioni, e aumentando la consistenza di nuova realtà, l'Ordine assume una realtà più mondiale con relative necessità di maggiore inculturazione.

Next stop: 214° Ariccia
Proprio sull'inculturalità, e di riflesso sul superamento delle tematiche di imperialismo culturale e sulle difficoltà d’ibridazione culturale[12], si gioca uno dei temi di maggiore interesse di questo 214° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria. Tema che può offrire ricchezza di valutazioni, ma anche banalità di stereotipi e di proposte.
Non si può negare ormai come il mondo sia profondamente cambiato dalla conoscenza che se ne poteva avere fino a venti o trent’anni fa[13]. Inoltre è necessario notare come nella riflessione sull’attualità il termine cronologico vada spostato dal 1989-1991, ossia dal crollo del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’URSS con conseguente scomparsa del comunismo, agli eventi del 2001 e 2007, ossia al Crollo delle Torri Gemelle e alla crisi finanziaria di inizio secolo. Le tematiche mainstream mondiali sono ormai spostate dal tema della contrapposizione ideologica tra Occidente-Oriente o Democrazia-Comunismo. Gli eventi del 2001 offrono l’emergere di forti frizioni fra globalizzazione mondiali e insorgere di particolarismi regionali uniti a involuzioni culturali[14]. Gli eventi del 2008 indicano non soltanto i pericolosi ondeggiamenti del mercato attuale ma anche pratiche  di shock-economy o shock-politics che disorientano sempre più la società lasciandola spesso preda dei migliori demagoghi del nostro tempo[15].
Nel suo piccolo e sulla base della sua pluricentenaria esperienza l’Ordine dei Servi di Maria è chiamato a osservare più da vicino queste “nuovi croci” e offrire una sua proposta a quanti ci incontrano.


Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] Si veda la lista di A.M. RossiManuale di Storia dell’Ordine dei Servi di Maria, Roma 1956, pp. 774-778 e D. M. MontagnaLiber capitulorum generalium O.S.M. Secoli XIII-XIX (1249/1256-1804), con un appendice per gli anni 1823-1989 in Studi Storici OSM 39 (1989), pp. 23-154.
[2] Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, pp. 27-28.
[3] Analisi ed Edizione in F. A. Dal PinoI Frati Servi di s. Maria dalle origini all’approvazione (1233ca-1304), Lovanio 1972, I, p. 925; II, pp. 27-29; regesto in Fonti Storico-Spirituali dei Servi di S. Maria, vol. I, Vicenza 1998, pp. 33-34 (n. 18).
[4] Analisi ed Edizione in Dal PinoI Frati Servi di s. Maria, I, pp. 1291-1295; II, pp. 131-136; regesto in Fonti Storico-Spirituali, I, p. 64 (n. 60).
[5] Testo italiano in Fonti Storico-Spirituali, I, pp. 140-144.
[6] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, I, pp. 90-91 (n. 101).
[7] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 300-301 (n. 641).
[8] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 297-298 (n. 633). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, p. 93.
[9] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 312-313 (n. 668). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, p. 94.
[10] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, III, pp. 380-381 (nn. 908-909). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, pp. 119-120.
[11] Montagna indica come “immotivati” gli interventi della Santa Sede, cfr. Ibidem, p. 135.
[12] Sul tema si rimanda in particolare a E. A. Schultz – R. H. Levada, Antropologia Culturale, Bologna 2015, pp. 396-401.
[13] Si rimanda in merito a S. P. Huntington, Lo scontro delle Civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano 2012, pp. 14-15
[14] E. J. Hobsbawm, La fine dello Stato, Milano 2007, pp. 31. 80-81.
[15] Si rimanda alla considerazioni su economia e politica espressa da N. Klein, Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, Milano, 2007 e Shock politics. L'incubo Trump e il futuro della democrazia, Milano 2017.

martedì 22 agosto 2017

“Fece il gran rifiuto”? Appunti su san Filippo Benizi e il canto III dell’Inferno di Dante

Dante raffigurato nel Chiostro Grande
della SS. Annunziata di Firenze
Il punto di partenza di questa breve riflessione non può essere che un piccolo brano della Divina Commedia di Dante Alighieri, più precisamente le terzine 58-60 del Canto III dell’Inferno:

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto
Vidi e conobbi l’ombra di colui
Che fece per viltade il gran rifiuto.

La terzina in oggetto si colloca ad un punto preciso del viaggio di Dante. Perso nella selva oscura e soccorso da Virgilio nel Canto I, Dante conosce meglio le motivazioni del suo viaggio ultraterreno nella spiegazione che la sua guida offre al Canto II. Il Canto III inizia con Dante e Virgilio dinanzi alla porta degli inferi e poco dopo s’incontra la terzina di cui abbiamo riferito. Dante si trova in una zona denominata Anti-Inferno, ossia un luogo tra la porta degli Inferi e il fiume Acheronte. In questa zona l’attenzione del poeta sarà attratta da un primo gruppo di dannati che Virgilio spiegherà come «coloro che visser senza ‘nfamia e sanza lodo» (Inferno III, 35-36). Denominati Ignavi, Virgilio dirà ancora di loro
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidiosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di loro, ma guarda e passa. (Inferno III, 46-51)

Il non prendere posizione, la vita tiepida e di conseguenza cieca e bassa è la colpa di questi dannati. Di contrappasso, coloro che non desiderarono nulla in vita nulla ricevono ora, se non un’insegna muta a cui correre dietro senza fine, pungolati da vespe, ricoperti di lacrime e vermi ai piedi. Traspare nel brano l’evidente disprezzo del poeta per quanti, nel falso miraggio di una vita tranquilla diventano «a Dio spiacenti e a’ nemici suoi» (Inferno III, 63).
In questo contesto si colloca la terzina con cui abbiamo iniziato. Tale passaggio ci dà la possibilità di apprezzare la grande tecnica letteraria di Dante. Pur dicendo degli Ignavi che essi non sono meritevoli se non di un rapido sguardo e che il mondo non lascia fama di loro, Dante dice di vedere e conoscere colui che per viltà fece il “gran rifiuto”. E così facendo restituisce un momento di fama ad uno degli ignavi e un passo dopo gliela toglie non scrivendone il nome.
Tale particolare non poteva non attirare l’attenzione dei lettori e dei commentatori successivi a Dante. Non a caso questa terzina lascia un quesito mentre nella Divina Commedia la trattazione offre continue spiegazioni e chiarimenti. La critica successiva a Dante iniziò a domandarsi sul chi fosse l’uomo del “gran rifiuto” arrivando a scorgere in papa Celestino V, già Pietro da Morrone (+1296), la figura più probabile in merito. Tale spiegazione sta non soltanto nella rinunzia al pontificato di Celestino V il 13 dicembre 1294 dopo pochissimi mesi dall’elezione ma anche nella critica serrata che Dante fa nei confronti del successore, Bonifacio VIII (+1303), al secolo Benedetto Caetani. Critica che sfocia in condanna aperta nel canto XIX, quando non potendo collocare all’Inferno papa Bonifacio VIII perché ancora vivente, ne fa predire ad un’anima dannata, papa Niccolo III (+1280) al secolo Giovanni Gaetano Orsini, la dannazione e il supplizio nella terza bolgia dell’Ottavo cerchio dove si trovano i Simoniaci. E per non lasciare dubbi, Dante fa dire a Niccolo III:

Se’ tu già così ritto
Se’ tu già costì ritto, Bonifazio? (Inferno XIX, 51-52)

Conseguentemente ci si può chiedere se l’astio e la condanna di Dante verso Bonifacio VIII non abbia una naturale estensione anche verso chi come Celestino V, attraverso la sua rinuncia o “gran rifiuto”, spianò la strada al pontificato del Caetani.
L’altra opzione circa l’uomo del gran rifiuto è Esaù figlio di Isacco e fratello di Giacobbe. Toccò al Boccaccio avanzare l’ipotesi vista anche la venerazione che si andava propagando nei confronti di Celestino V. Il “gran rifiuto” di Esaù è da inquadrare nel brano di Genesi 25-29-34, momento nel quale vende la sua primogenitura al fratello Giacobbe in cambio di un piatto di lenticchie. Cedendo in tal modo la primogenitura Esaù dimostra di tenere ben poco in conto la promessa che Dio aveva fatto ad Abramo, ed era stata rinnovata a Isacco, di una grande nazione.
Celestino V o Esaù furono a lungo le opzioni per identificare il personaggio del “gran rifiuto”. Tuttavia nell’Ottocento si assiste ad un interessante serie di nuovi nomi da accostare a questo personaggio. Tra questi spunta anche il nome di san Filippo Benizi (+1285).

Statua di San Filippo nella chiesa
della SS. Annunziata di Firenze.
Si indica in un padre dell’Ordine dei Servi di Maria, Agostino M. Morini (+1913), il primo a suggerire a suggerire che l’uomo del “gran rifiuto” fosse san Filippo Benizi. Tuttavia il centro del ragionamento può essere individuato in due articoli apparsi su «L’Addolorata» nel 1921 e curati da p. Alessio M. Rossi (+1968) [1]. In particolare nello stesso è da tener presente il resoconto di una conferenza del prof. Carlo Pacini, davanti ai giovani studenti Servi di Maria. Nel ragionamento proposto dal Pacini si sottolinea l’aspetto della conoscenza che Dante sembra avere della figura dell’uomo del “gran rifiuto”, ossia quel “vidi e conobbi”. E chiedendosi come Dante possa aver conosciuto di persona Celestino V, avanza l’idea che l’uomo del “gran rifiuto” sia in realtà una figura più alla portata della conoscenza del poeta. Approfondendo la riflessione, il Pacini indicò come per Celestino V più che un rifiuto, si deve parlare di una rinunzia al pontificato. Diversamente, per Filippo Benizi esiste un episodio di rifiuto. Nella Legenda beati Philippi, conosciuta come “Vulgata”, i paragrafi 15-16 narrano che in conseguenza di un prodigio di Filippo nel quale sanò un lebbroso, la sua fama giunse ai cardinali riuniti in conclave a Viterbo negli anni 1268-1271 e tutti furono concordi nell’indicarlo come pontefice. Tuttavia, come dice la “Vulgata”, Filippo per grande umiltà se ne stette nascosto per qualche tempo.
Anni più tardi, nel 1968 gli studi di un altro padre dell’Ordine dei Servi di Maria, Eugenio M. Casalini (+2010), hanno posto in evidenza, sulla base di documentazione archivistica dell’amministrazione del convento di Santa Maria di Cafaggio in Firenze oggi Santissima Annunziata, una serie di contatti tra la comunità dei frati del tempo e la cerchia delle amicizie politiche e familiari del poeta [2].
Detto questo però, non appare possibile sostenere l’affermazione che accosti san Filippo all’uomo del “gran rifiuto”. Anzitutto, in linea temporale ci si può chiedere come potesse il “rifiuto” di Filippo al papato avere più presa nella memoria di Dante rispetto alla “rinunzia” di Celestino V. Infatti se l’episodio che riguarda Filippo va ascritto agli anni del Conclave di Viterbo ossia 1268-1271, la rinuncia di Celestino V nel 1294 appare più vicina sia al momento in cui viene collocata temporalmente la Divina Commedia, ossia il 1300, che al momento dell’inizio della redazione vera e propria attorno al 1306-1307.
In secondo luogo, il “rifiuto” di Filippo portò solo alla prosecuzione del Conclave che terminò con l’elezione di Gregorio X (+1276), mentre la rinuncia di Celestino V aprì al pontificato di Bonifacio VIII e in prospettiva, all’appoggio di quest’ultimo alla fazione “Nera” dei Guelfi fiorentini contro i “Bianchi”, fazione di Dante stesso, costretti all’esilio.
In terzo luogo, ci si può chiedere come potesse Dante conoscere un avvenimento, quello del “rifiuto” di San Filippo circoscritto in una redazione agiografica, quella della Legenda “Vulgata”, da collocare probabilmente nella seconda parte del secolo XIV, e pertanto forse lungamente veicolato da una tradizione orale. Senza dimenticare che l’episodio stesso trascritto nei paragrafi 15-16 non è comune nei vari manoscritti che riportano la Legenda “Vulgata”.
Valga poi l’osservazione che Dante pare confinare la sua attenzione sulla vita religiosa soltanto agli Ordini dei Minori e dei Predicatori. I Canti XI e XII del Paradiso dove prima Tommaso d’Aquino, frate predicatore, e poi Bonaventura da Bagnoregio, frate minore, fanno gli elogi del fondatore dell’opposto Ordine e deprecano la decadenza dell’ordine d’appartenenza, esemplificano la centralità di questi due ordini religiosi nell’universo di Dante, mentre le altre famiglie religiose risultano di poco conto. Di conseguenza resta da chiedersi quali figure e quale influsso potesse avere un Ordine di ridottissime dimensioni, come i Servi di Maria, sulla stesura della Divina Commedia.
Resterebbe ancora la possibilità di leggere, sulla base degli scritti agiografici dei Servi di Maria, alcune azioni della vita di san Filippo sul piano della “viltà” che Dante intende in contrapposizione alla “magnanimità” dell’animo: ossia per vile si intende l’uomo che degno di compiere grandi cose, se ne ritiene non all’altezza e vi rinuncia. In tal senso una rilettura dei paragrafi 9-12, riguardo alla scoperta della grande cultura di Filippo e delle frequenti richieste di essere esonerato dall’incarico di priore Generale, potrebbe suggerire tale ipotesi. Tuttavia tali ipotesi va superata notando che lo stesso Filippo spesso sottopone la sua volontà alle preghiere dei confratelli verso i quali si piega con obbedienza.
Concludendo vogliamo ancora indicare come riferendosi ad un altro brano della Divina Commedia in cui si poteva avanzare un ipotesi di convergenza tra la descrizione dell’Annunciazione nel X Canto del Purgatorio (Purgatorio X, 34-35) e l’immagine affrescata ancora oggi visibile nella Santissima Annunziata il Casalini notava come in merito si restasse «nel campo di quelle ipotesi che senza essere puramente fantastiche hanno però il difetto di mancare di un dato sia pur minimo di concreta documentazione» [3]. Valida per l’immagine del Purgatorio, tale affermazione non risulta riapplicabile nell’ipotesi del Morini di accostare l’uomo del “gran rifiuto” a san Filippo Benizi in quanto crea ipotesi decisamente labili al confronto con le figure classiche, e decisamente più consistenti, offerte dalla critica letteraria sul tema. Di conseguenza ancora con il Casalini dobbiamo convenire «ma che Dante avesse pensato a san Filippo Benizi nella citata terzina dell’Inferno, è una congettura destinata a rimanere tale come le altre escogitate sull’argomento» [4].


fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] In particolare si fa riferimento a Dante e i Servi di Maria in «L’Addolorata», Firenze, 1921, pp. 44-51 e 133-135, entrambi a cura di Linix pseudonimo di Alessio M. Rossi. Lo stesso tornerà sull’argomento in un articolo dell’Osservatore Romano del 24 agosto 1951 intitolato Ancora del gran rifiuto?
[2] Si veda E. Casalini, Il convento di santa Maria di Cafaggio nella cerchia delle amicizie di Dante, «Studi Storici OSM», 16 (1968), pp. 172-196.
[3] Casalini, Il convento di santa Maria di Cafaggio nella cerchia delle amicizie di Dante, pp. 175-176.
[4] Ibidem, p. 175.

lunedì 12 dicembre 2016

"Conservare" e "consegnare" la memoria. Locali in ripristino per la SS. Annunziata di Firenze

P. Paolo M. Orlandini priore provinciale
e p. Gabriele M. Alessandrini priore conventuale
nei nuovi locali rinnovati
Il testo rinnovato delle Costituzioni dell'Ordine dei Servi di Maria prevede la presenza di un Archivista per il Fondo Storico tra gli Ufficiali Generali al art. 269/a, indicando in nota un rimando allo Statuto della sezione storica dell'Archivio Generale. Per quanto riguarda le province, il riferimento ad un responsabile per la custodia del patrimonio storico archivistico si può evincere dall'art. 220, nel quale si legge che la Provincia debba avere un numero di Ufficiali "corrispondenti" alle necessità di una efficiente amministrazione, delegando al Direttorio provinciale la determinazione del numero e delle competenze. Pur non essendo citata direttamente la figura di "archivista" per competenze a livello conventuale e provinciale emerge da una rilettura degli articoli 21 e 29 del nuovo Direttorio Generale dell'Ordine dei Servi. Nell'articolo 21 si fa riferimento espresso alla conservazione della documentazione della vita comunitaria presso un "archivio" sotto la responsabilità del priore che ne garantisce la conservazione e l'agibilità per gli studiosi. Nell'articolo 29 si fa riferimento alla documentazione provinciale e alla sua custodia nell'"archivio" della Provincia con un aggiunta particolare riguardo al "Fondo Storico". Tale "Fondo Storico" viene messo sotto la responsabilità di un frate, indicato come "competente", che ne garantisce la conservazione e l'agibilità per gli studiosi. 
Un momento della Benedizione dei nuovi locali
il 2 dicembre 2016.
Nell'articolo 21 ci si potrebbe domandare se non sia necessario indicare una specifica per i conventi cosiddetti "storici" nei quali la conservazione della memoria richiede la presenza di uno specifico ufficiale conventuale. Dall'articolo 29 si trae invece il bisogno di un indicazione più precisa riguardo al cosiddetto "Fondo Storico". Restano tuttavia di fondo due verbi alla base del lavoro dell'Ufficiale preposto all'Archivio: "conservazione" e "agibilità".
Una riflessione su questi due compiti farebbe lievitare a dismisura il contenuto di questo post. Perciò mi soffermo brevemente nell'indicare come per "conservazione" non s'intenda "accumulo" o "stoccaggio", semmai riconoscimento del valore di conservazione per ogni singolo pezzo archivistico. Per "Agibilità" invece vale il costante richiamo a non far diventare gli Archivi propri studi personali ma semmai luoghi di confronto e di scambio di conoscenza ed esperienza.
Il priore provinciale benedice la nuova attività...
Ma immagino già il consiglio: arriva al dunque. 
La premessa serviva per richiamare il compito degli Ufficiali preposti agli Archivi dell'Ordine dei Servi di Maria e per introdurre il risultato, o meglio un primo risultato, di un ampio progetto di recupero e ristrutturazione dell'Archivio conventuale della Santissima Annunziata di Firenze.
Convento originario dell’Ordine dei Servi di Maria, insieme a quello di Monte Senario, la SS. Annunziata di Firenze, in origine Santa Maria di Cafaggio, ha costituito per lungo tempo il più prezioso scrigno di documentazione per l’Ordine stesso, prima attraverso la Biblioteca e la Sagrestia e in seguito attraverso la formazione dell’Archivio Conventuale.
L’archivio conventuale si va formando gradualmente, probabilmente distaccandosi dalla Biblioteca tra il XV e il XVI secolo. Per certo, risulta a tutti gli effetti formato alla fine del secolo XVI quando Arcangelo Giani, annalista dell’Ordine, cita espressamente un «archivio della Nunziata di Firenze» nel suo Vera e certa Origine del Sacro Ordine dei Servi di santa Maria (Firenze, 1591).
Il Priore Generale OSM, p. Gottfried M. Wolff con
fra Emanuele M. Cattarossi responsabile dell'Archivio
della SS. Annunziata 
La funzione dell’archivio fiorentino resta sostanzialmente invariata almeno fino al secolo XVII, quando cede gradualmente la sua specifica di archivio generale in favore del costituito archivio del convento di San Marcello a Roma, sede della curia generalizia dell’Ordine dei Servi. Un interessante esperienza di conservazione si avrà con Raimondo Adami (1711-1792), già priore generale dal 1768 al 1774, e sull’opera collezionistica da lui intrapresa nell’ultimo periodo della sua vita. Va approfondito ancor oggi la portata dell’attività dell’Adami, peraltro svolta con la collaborazione di padre Costantino Battini, al quale passò in seguito la direzione del “Museo Adamiamo”. Tale collezione era raccolta in una zona del primo piano del secondo chiostro lungo il lato lungo della Biblioeca, oggi Istituto Geografico Militare. Resta ancora aperta la valutazione della consistenza della collezione. Già pochi anni dopo la morte dell’Adami, il Battini si trovò costretto a vendere una parte dei pezzi raccolti. Fu invece l’11 ottobre 1810 che si chiuse l’esperienza della “Galleria dei dipinti antichi”, quando gli incaricati del governo napoleonico redassero un elenco di novantacinque opere da trasferire al deposito istituito presso il convento di San Marco. Da qui la collezione venne smembrata e i dipinti di maggior pregio finirono alla Galleria dell’Accademia.
Fra Emanuele M. Cattarossi illustra
al Consiglio generalizio le fasi di recupero dei locali
In seguito alle soppressioni napoleoniche, più di un migliaio di pezzi saranno prelevati dall’Archivio e requisiti. Questi pezzi, verranno poi incamerati presso l’Archivio di Stato nell’ambito del complesso Corporazioni religiose soppresse dal governo francese costituendone il fondo 119. Nel 1932, a seguito del trasferimento della sezione storica dell’Archivio generale dal Convento di San Marcello al nuovo Collegio Sant’Alessio Falconieri, l’archivio fiorentino passa una serie di pezzi archivistici tra i più antichi e importanti per la ricerca nell’Ordine dei Servi.
Rimangono dunque presso l’archivio fiorentino una serie di pezzi dedicati più all’aspetto conventuale. Tra questi ne spiccano alcuni quali: i codici Mare Magnum (1488) e gli Acta beati Philippi (1608-1613), la ricca serie di codici corali (1287-1474), il prezioso Campione Nero (1442-1454) e i libri di doni e offerte alla SS. Annunziata (1447-1678). Bisogna inoltre aggiungere un discreto fondo librario antico e la fototeca, iniziata negli anni sessanta da una collaborazione con l’Istituto Storico dell’Ordine dei Servi di Maria.
I locali della Fototeca rinnovati...
A partire dal 1971, ad opera del p. Eugenio M. Casalini, a lungo archivista del convento, iniziano una serie di pubblicazioni sotto il nome di Biblioteca Toscana dell’Ordine dei Servi, per dieci volumi editi finora. Nel 1983, l’esperienza editoriale verrà ampliata con una serie minore denominata “Colligite”, che conta sedici volumi editi.
L'esperienza dell'Archivio della SS. Annunziata ha aperto una nuova fase di riordino e ricomposizione dei suoi locali. L'opera di "conservazione" ha visto per tutto il 2016 un intenso lavoro di sgombero e risistemazione di un stanza del locale, lasciata da tempo ad un mero uso di deposito, con la collaborazione e il supporto delle associazioni Amici della Santissima Annunziata ONLUS (per informazioni vedi qui) e Ambasciatori Mariani ONLUS (per informazioni vedi qui). Attraverso un lento e ragionato sgombero progressivo dell'interno volto a discernere la preziosità o meno degli oggetti presenti è emersa  la possibilità di "riprogrammare" il locale ad un uso conservativo delle migliori memorie inerenti il convento della SS. Annunziata. Dopo necessari lavori di dipintura delle pareti, messa in sicurezza dell'impianto elettrico e posizionamento di una nuova illuminazione si è proceduto all'allestimento della sala. In particolare in essa trovano collocazione la serie di codici corali del Convento, una ventina di lampade argentee già presso la Cappella della SS. Annunziata, alcuni ex-voto particolari, una serie di tele già in deposito presso l'Archivio, oltre ad altri oggetti di pregevole memoria per l'Ordine dei Servi di Maria. Contemporaneamente veniva rinnovata anche la sala della Fototeca Conventuale, attraverso una necessaria dipintura e messa in sicurezza dell'impianto elettrico, con un allestimento più arioso e funzionale alle esigenze di conservazione e ricerca. Per marcare opportunamente questa fase di lavoro, i locali rinnovati sono stati inaugurati e benedetti il 2 dicembre 2016 dal Priore Provinciale della Provincia Santissima Annunziata, p. Paolo M. Orlandini. Il giorno 6 dicembre, i locali sono stati presentati al Priore Generale dell'Ordine dei Servi di Maria, p. Gottfried M. Wolff e al Consiglio Generalizio, presenti in Firenze per la programmazione annuale delle loro attività. In entrambe le occasioni sono state espresse congratulazioni per il lavoro svolto e incoraggiamenti a proseguire con rinnovato slancio nell'opera intrapresa. Sollecitazioni ben accolte sperando presto di presentare nuovi risultati...

 
fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com